Dopo Liverpool – Roma: a chi fanno comodo gli ultras nel calcio?

Martedì sera all’Anfield Road è andata in scena la pirotecnica gara di andata della semifinale di Champions League fra i padroni di casa del Liverpool, guidati dal vulcanico tecnico tedesco Jurgen Klopp, e i giallorossi della Roma di Eusebio Di Francesco. A spuntarla sono stati i padroni di casa per 5 a 2, lasciando così poche speranze di accesso alla finale ai lupacchiotti, ai quali servirà un’altra impresa come quella già compiuta nel ritorno dei quarti di finale contro il Barcellona.

Liverpool-Roma-3-675

La città dei Beatles ha una delle tifoserie più calde d’Europa, capace di mettere i brividi con lo storico coro You’ll never walk alone che precede e segue le esibizioni dei reds.

Ma il Liverpool evoca anche una delle pagine più tristi della storia del calcio italiano, quella scritta all’Heysel nel maggio del 1985, costata la vita a 39 tifosi della Juventus, cui seguì l’allontanamento delle squadre inglesi dalle competizioni europee per quattro anni.

Settanta 70 1985 Strage all'Heysel di Bruxelles prima di Juventus-Liverpool, 39 morti

La sfida con la Roma assumeva un’ulteriore significato particolare poiché la squadra capitolina ha disputato un’unica finale di Coppa Campioni nella sua storia, perdendola ai calci di rigore e in casa sua, proprio contro il Liverpool.

Lo psicodramma, consumatosi  il 30 maggio 1984 presso lo Stadio Olimpico, è rimasto negli annali anche per l’atteggiamento del bizzarro portiere Grobbelaar, autore durante i calci di rigore di questo singolare show per far innervosire i romanisti dal dischetto. Obiettivo evidentemente raggiunto.

Martedì prima dell’inizio della partita ci sono stati scontri fra i tifosi romanisti e quelli inglesi, e le cronache delle ultime ore parlano di un tifoso irlandese del Liverpool, un padre di famiglia di cinquantatré anni, in fin di vita a causa di una cinghiata alla testa ricevuta durante i tafferugli da parte due “tifosi” della Roma che sarebbero stati già individuati.

Tifosi-Roma-Scontri-a-Liverpool

In questi giorni ho guardato alcuni video degli scontri, cercati e premeditati, avvenuti fuori da un pub nei pressi dello stadio, e mi sono chiesto cosa possa passare nella testa di un essere umano anche solo per poter concepire l’idea di percorrere migliaia di chilometri per andare a picchiare qualcuno che neppure si conosce.

Personalmente ho sempre detestato il mondo ultrà e la retorica dei finti valori da cui sarebbe permeato, perchè considero il calcio come uno spettacolo emozionante che dovrebbe poter essere vissuto dal pubblico in totale serenità, senza il timore di non dover tornare a casa. Vorrei poter portare mio figlio allo stadio, in ogni stadio, come mio zio ha fatto con me, senza preoccuparmi che possa vivere una delle esperienze più brutte della propria vita.

L’universo ultrà lo conosco abbastanza bene, sia perchè ho frequentato lo stadio sin da bambino, anche in curva, sia perchè ho amici che fanno parte di questa realtà.

Avendo assistito a certe situazioni o parlando con loro della mentalità che li contraddistingue ho sempre trovato assurde alcune cose:

  • agli ultras del calcio interessa veramente poco, passano tutto il tempo della partita a cantare cori a sostegno della propria squadra o che insultano l’avversario e si indignano se qualcuno in curva si fa “distrarre” da quanto accade in campo;
  • Considerano il resto degli spettatori dello stadio come dei reietti e li etichettano con termini che ritengono offensivi come “occasionali”;
  • sono convinti che l’andamento della squadra per cui “tifano” e una bella coreografia sugli spalti possano determinare il pregio della propria città;
  • Non disdegnano lo scontro fisico come mezzo per difendere il proprio “onore” da gesti inconcepibili come il furto di una propria bandiera;
  • indipendentemente dalla squadra per la quale “tifano” e dall’orientamento politico della curva sono tutti uniti nell’odio verso le forze dell’ordine.

auschwitz-striscione

Non si può fare a meno di analizzare il fenomeno anche dal punto di vista sociale, poiché le curve sono spesso l’unico rifugio per tanti cittadini che si sentono respinti e traditi dalla società in cui vivono. Per me però questa attenuante non può e non deve bastare e non deve costituire un alibi per nessuno. 

Proprio quell’Inghilterra che per lungo tempo è stata il teatro del fenomeno degli hooligans oggi rappresenta l’esempio da seguire: stadi di proprietà dei club sempre pieni, festosi e animati dalla presenza di tante donne e bambini, fenomeno del tifo organizzato debellato e senso di sana appartenenza alla squadra per cui si tifa come unico movente per recarsi allo stadio.

Pete: Le firm del Millwall e del West Ham si odiano più di qualsiasi altra firm.
Matt: Come gli Yankees e i Red Socks?
Pete: Più come gli israeliani e i palestinesi.

(dal film Hooligans)

Ovviamente questo non significa che fenomeni di violenza e delinquenza legati al tifo siano stati eliminati del tutto, ma perlomeno sono stati circoscritti al fisiologico e si è affrontata la questione in modo concreto.

I “tifosi” inglesi violenti si manifestano spesso quando si recano in trasferta all’estero, consci di trovare anche dal punto di vista penale giurisdizioni più clementi di quella inglese.

Considerando le convenienze reciproche e le connivenze fra club calcistici, politici e tifo organizzato bisognerebbe chiedersi per davvero se esista la seria intenzione di affrontare questo problema anche in Italia o se come al solito ci si limiterà a far scorrere il solito, stucchevole, fiume di retorica.

Io un’idea l’avrei.

 

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